La #DisobbedienzaCivile: unico riscatto sociale contro lo sfruttamento dello Stato capitalista

L’Italia è uno degli Stati al mondo in cui si pagano più tasse ma, al contrario di come si possa pensare, ha i servizi pubblici più scadenti e malandati, grazie a continui tagli da parte dei Governi e delle amministrazioni locali.

Tagli alla sanità, all’istruzione ecc ecc… Per non parlare poi delle privatizzazioni di servizi di primaria necessità che erano pubblici e devono rimanere pubblici, vero cancro di un un società malata di un brutto male che è il capitalismo, cioè quella forma di gestione economica che nonostante produca 4 volte il fabbisogno della popolazione mondiale, fa si che ci sia ancora benessere per pochi e povertà per molti, rendendo le persone semplicemente dei numeri che devo svenarsi tutta la vita per sostenere un sistema fallimentare basato su delle banche (private), che creano denaro dal nulla ma generano un debito “reale” che non potrà mai essere pagato proprio perché il denaro stesso viene prodotto dal nulla e di fatto non potrà mai coprire il valore reale del “debito” prodotto, da crisi che loro stessi hanno creato… Gente costretta a vivere tutta la vita sotto la “schiavitù della moneta”, perché altrimenti senza di essa non si conta nulla perché, in questa società malata, il valore di un uomo si basa ormai solo su quel numero che gli economisti chiamano “potere d’acquisto” e se non hai quello, oggi non sei nessuno…

Per questo siamo fermamente convinti che la prima lotta da sostenere sia quella dell’AUTOGESTIONE, che per noi significa OCCUPARE e RIQUALIFICARE spazi pubblici lasciati all’abbandono e al degrado, rendendoli nuovamente agibili per creare servizi popolari che lo Stato non è in grado di darci.

Per questo SIAMO CONTRO AL PAGARE LE TASSE ALLO STATO, per coprire un debito che di fatto non esiste ma è solo la scusa per far mantenere privilegi e ricchezza ai capitalisti e non certamente per offrire servizi migliori ai cittadini.

Per questo preferiamo la strada della “COLLETTA SOCIALE”, utile ad INCENTIVARE LA NASCITA DI NUOVI SPAZI AUTOGESTITI dal popolo, a dimostrazione che se le istituzioni non ci danno servizi, siamo comunque in grado di crearceli da soli, senza dover pagare il pizzo alle banche.

Il nostro sogno quindi è CREARE SPAZI che offrano SOLUZIONI ALL’ESIGENZA ABITATIVA, spazi di AGGREGAZIONE SOCIALE per RISCOPRIRE I VALORI DELLO STARE INSIEME ed AFFRONTARE INSIEME I PROBLEMI, costituire delle ASSEMBLEE POPOLARI PER L’AUTOGESTIONE DEI QUARTIERI, oltre altri importanti servizi come MENSA SOCIALE, DORMITORI ED AULE STUDIO PER STUDENTI, INFERMERIE ED OSPEDALETTI DI QUARTIERE DI PRIMO SOCCORSO con persone qualificate che lo Stato preferisce restino dei precari ed altro che possa rendere più serena la qualità della vita.

Tutto questo senza alcun legame con i partiti e senza alcun appoggio da associazioni e/o personaggi legati ad essi (NON SIAMO NE DI DESTRA NE DI SINISTRA) e proprio perché noi NON ACCETTIAMO IL COMPROMESSO DEL VOTO IN CAMBIAMENTO DI SERI I CHE CI SPEARS PER DIRITTO, ritenendo questo ragionamento un sistema di tipo mafioso e che tanto non porterà mai a nulla, perché sappiamo bene come tali personaggi, una volta seduti alle poltrone delle istituzioni, si dimenticano dei loro elettori, uno dei nostri punti fondamentali è L’ASTENSIONE AL VOTO ed il TOTALE DISSENSO VERSO LE ISTITUZIONI POLITICO/AMMINISTRATIVE LOCALI E NAZIONALI.

Questo siamo noi… Questa è la ‪#‎DisobbedienzaCivile

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La sanità e la ricerca scientifica nei Paesi Socialisti: l’esempio di Cuba

Il sistema sanitario cubano è uno dei migliori al mondo e per i cubani è completamente gratuito. Si fonda sul principio per cui la salute è un diritto sociale inalienabile e tutti i cubani hanno diritto all’assistenza sanitaria completa senza distinzioni. I servizi sono finanziati quasi interamente tramite risorse pubbliche. Il Ministero della Salute è l’organismo regolatore del sistema, concentra e distribuisce le risorse destinate ai servizi sanitari e opera a tutti i livelli.

Complessivamente l’assistenza si sviluppa attraverso una rete di circa 220 ospedali, 15 istituti di ricerca, 500 policlinici e una copertura diffusa in tutta l’isola di personale sanitario, per un totale di circa 600.000 lavoratori (9% della popolazione in età lavorativa), di cui circa 30.000 medici di famiglia. I medici sono passati da 5,2 medici ogni 1000 abitanti nel 1995 a circa 6,7 nel 2009; nello stesso periodo gli infermieri sono passati da 7 ogni 1000 abitanti a 9,5.

Prima della rivoluzione cubana del 1959, il sistema sanitario cubano era basato su ospedali gratuiti statali, cliniche mutualistiche e ambulatori privati; gli ospedali gratuiti erano presenti solo in un terzo dei municipi ed erano di scarsa qualità. Esisteva un solo ospedale universitario, un’unica scuola di medicina e le prestazioni erano erogate per la maggior parte privatamente da medici residenti per i 2/3 a L’Havana. Solo il 10-20% circa della popolazione rurale poteva fruire di una qualche forma di assistenza medica. L’aspettativa di vita era inferiore ai 60 anni.  La mortalità infantile era del 70 per mille nati vivi e la mortalità materna era 120 per 100 mila nati vivi. L’analfabetismo arrivava nelle zone rurali al 40%; solo l’11,2% delle famiglie dei lavoratori agricoli beveva latte e solo il 2% mangiavano uova.

Dopo la rivoluzione la metà dei 6.000 medici al momento presenti sull’isola espatriò. A Cuba rimasero solo 16 professori di medicina. Il Ministero della Salute iniziò quindi un programma di nazionalizzazione e regionalizzazione dei servizi sanitari: furono realizzati 50 nuovi ospedali rurali e 160 policlinici in aree urbane, fu iniziato un programma di vaccinazione dei bambini e fu istruito nuovo personale. Vennero, inoltre, assunti 750 medici e studenti di medicina per trascorrere un periodo della loro carriera professionale nelle campagne, sulle montagne e nelle comunità costiere. L’obiettivo del servicio médico rural era quello di garantire “la prevenzione delle malattie e di rivitalizzare i servizi sanitari per i più bisognosi, perché poveri o in precarie condizioni di salute o perché residenti lontano dai centri urbani”.

Nel 1986 venne introdotto il Programma del Medico di Famiglia, che mise a disposizione dei pazienti un team costituito da medico e infermiera e garantì, a partire dai primi anni ‘90, l’assistenza primaria al 95% delle famiglie cubane direttamente nel proprio quartiere di residenza. Erano attive 21 scuole mediche in tutto il territorio nazionale. Il sistema sanitario cubano cominciò a essere preso dall’OMS, dall’Unicef e da altre agenzie internazionali come esempio per un servizio sanitario nei Paesi in via di sviluppo. Ottimi risultati sono stati ottenuti grazie a ripetute campagne vaccinali, grazie alle quali per alcune malattie non si verificano casi da diversi anni: Poliomielite, 1962; Tetano neonatale; 1972; Difterite, 1979; Meningoencefalite post-parotidite, 1989; Sindrome rosolia congenita, 1989; Morbillo, 1993; Pertosse, 1994;Rosolia e parotite, 1995; Febbre Gialla, 2005.

Molti tra i migliori medici cubani sono mandati dal governo a lavorare in altri paesi dell’America latina: con il programma Barrio Adentro, letteralmente “nel quartiere”, a partire dal 2002 il governo venezuelano vuole garantire cure mediche di base per tutti, anche per le fasce di popolazione più miserevoli, adottando il modello cubano. Cuba, nella fase iniziale di Barrio Adentro, ha inviato circa 18.000 medici in Venezuela; da parte sua Chavez invia forniture di petrolio. Nel 2008 i medici cubani che lavoravano in paesi esteri erano circa 37.000, sparsi in più di 70 paesi. I medici che decidono di lavorare al’estero ricevono compensi maggiorati.

Quando guadagna invece un medico cubano che rimane a Cuba? Tutti i medici sono dipendenti del governo e mediamente un medico di famiglia guadagna 20 dollari al mese e ha a disposizione benefit come la casa e generi di prima necessità. La sanità assorbe il 8.7% del PIL nazionale, ma se negli ultimi anni le risorse dedicate alla salute sono aumentate considerevolmente.

Cuba può vantare il tasso di mortalità infantile più basso del continente (che si attesta intorno al 2,6%, un risultato straordinario se si pensa che si sale su scala mondiale fino al 5,2%), persino inferiore agli Stati Uniti, che continuano ad assediare il Paese confermando il criminale embargo economico più volte dichiarato illegale dalle Nazioni Unite.

Anche per quanto riguarda la ricerca medica e farmaceutica Cuba è all’avanguardia: a testimonianza dell’alto livello raggiunto vi è l’unico vaccino al mondo contro la malattia causata dal meningococco di tipo B e dal 1990 è nel programma nazionale di vaccinazione infantile a Cuba. I laboratori di ricerca a Cuba hanno anche prodotto vaccini e sieri contro la meningite A e C, la leptospirosi, la difterite, il tetano, la febbre tifoide e la pertosse. Nel maggio 2012 il direttore el Centro de Ingeniería Genética y Biotecnología, Gerardo Guillén, ha reso pubblica la scoperta di un farmaco (HeBerprot) che permette di evitare l’amputazione degli arti inferiori nei pazienti diabetici. La ricerca a Cuba è in piena attività e sono stati fatti grandi passi avanti contro Aids ed il cancro; per esempio vengono sperimentati due farmaci: uno denominato Vidatox, studiato sulla base del veleno di uno scorpione, il secondo denominato CimaVax, che dovrebbero combattere il cancro al polmone. Per quanto riguarda Aids nel 2012 è iniziata la fase di sperimentazione di una terapia innovativa.

L’Ozono (O3), derivato dell’Ossigeno (O2) è il più potente ossidante in natura ed il più efficace nel distruggere batteri, virus, funghi, pesticidi e metalli pesanti… è utile per diverse patologie ortopediche e vascolari, nella demenza senile, Sla e Sclerosi multipla. Indovinate un po’ quale paese è all’avanguardia nell’utilizzo dell’O3 a scopi medici? Indovinato! La patria dell’ozono terapia è Cuba. La ricerca medica nell’isola caraibica è cosi avanzata che i più ricchi e i più potenti del mondo vanno a curarsi lì.

E poi dicono che il socialismo ha fallito…

Fonti:
http://www.saluteinternazionale.info/2013/02/salute-e-sanita-a-cuba-i-parte/

http://www.forumdesalternatives.org/it/cuba-resiste-sanita-gratuita-per-tutti

http://calle23.blogspot.it/2012/11/cuba-e-la-ricerca-scientifica.html

http://calle23.blogspot.it/2010/10/la-ricerca-scientifica-cuba.html

http://www.donnefelici.com/contatti_8.html

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Hugo Chavez

“Non solo lavorò continuamente per la libertà e per la gloria della sua amata America Latina, ma anche per tutti i popoli oppressi, incluso quello palestinese, che lui aveva a cuore.”

Il 17 settembre del 2011 il presidente venezuelano Hugo Chávez inviò una lettera al Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-Moon per confermare l’appoggio del governo venezuelano alla formazione dello Stato della Palestina. Con i versi del poeta Mahmoud Darwish, Chávez descrisse con magistrale semplicità la terribile realtà del sionismo, denunciando l’aggressione israeliana come genocidio e mostrando come Israele non solo annichiliva il diritto dei palestinesi di vivere sulla terra, ma si sforzava anche di cancellare la stessa esistenza del popolo palestinese. Un documento che entra negli annali della storia, epitome della resistenza contro tutti i tipi di oppressione e ingiustizia.

Da Hugo Chávez Frías, Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela:

Miraflores, 17 settembre 2011

Sua Eccellenza,

Ban Ki-moon,

Segretario Generale delle Nazioni Unite

Signor Segretario-Generale:

Illustri rappresentanti dei popoli del mondo:

Rivolgo queste parole all’Assemblea Generale dell’ONU, a questo grande forum che rappresenta tutti i popoli della terra, per ratificare, in questo giorno e in tale scenario, l’appoggio totale da parte del Venezuela al riconoscimento dello Stato Palestinese: il diritto della Palestina a tornare un paese libero, sovrano e indipendente. Si tratta di un atto di giustizia storica verso un popolo che, da tempi immemorabili, porta con sé tutto il dolore e la sofferenza del mondo.

Nel suo saggio memorabile “La Grandezza di Arafat”, il grande filosofo francese Gilles Deleuze scrisse con tutto il peso della verità: La causa palestinese si pone prima di tutto l’insieme di ingiustizie che queste persone soffrono e continuano a soffrire. E io oserei aggiungere che la causa palestinese rappresenta anche una costante e inappellabile volontà di resistere, già scritta nella memoria storica della condizione umana. Volontà di resistenza che nasce dall’amore più profondo per la propria terra. Mahmoud Darwish, la voce infinita dell’adorata Palestina, ci parla con sentimento e coscienza di questo amore:

Noi non abbiamo bisogno di ricordi

Perché in noi portiamo il Monte Carmelo

E nelle nostre palpebre l’erba della Galilea

Non dire: Se potessimo correre per il paese come un fiume! Non lo dire!

Perché noi siamo nella carne del nostro paese

e il nostro paese dimora in noi.

Contro tutti coloro che falsamente sostengono che ciò che sta accadendo al popolo palestinese non è un genocidio, lo stesso Deleuze afferma con lucidità: Dall’inizio alla fine, agiscono come se il popolo palestinese non solo non dovesse esistere, ma come se non fosse mai esistito. Ciò rappresenta l’essenza propria del genocidio: decretare che un popolo non esiste, per negargli il diritto all’esistenza.

In questo senso, quanto ha ragione il grande scrittore spagnolo Juan Goytisolo quando afferma: La promessa biblica della terra di Giudea e Samaria per le tribù di Israele non è un contratto di proprietà autentica che autorizza l’espulsione di coloro che nascono e vivono in quel suolo. È precisamente per questo motivo che la risoluzione dei conflitti in Medio Oriente deve, necessariamente, portare giustizia al popolo palestinese, questo è l’unico cammino possibile verso la pace.

È inquietante e doloroso che lo stesso popolo che soffrì uno dei peggiori genocidi della storia si sia convertito nel carnefice del popolo palestinese: èinquietante e doloroso che l’eredità dell’Olocausto si trovi a Nakba. Ed è davvero preoccupante che il sionismo continui a usare l’accusa di antisemitismo come un ricatto contro coloro che si oppongono alle sue violenze e crimini. Israele ha spudoratamente e vilmente usato, e continua a usare, la memoria delle sue vittime. E fanno questo per agire con totale impunità contro la Palestina. Inoltre, vale la pena menzionare che l’antisemitismo è un flagello occidentale, di radice europea, al quale gli arabi non partecipano. Detto tutto ciò, non dimentichiamo che è il popolo semita della Palestina che subisce la pulizia etnica portata avanti dallo Stato colonialista israeliano.

Voglio essere chiaro: una cosa è denunciare l’anti-semitismo, altra cosa, totalmente differente, è accettare passivamente che la barbarie sionista imponga un regime di apartheid contro il popolo palestinese. Dal punto di vista etico, chi denuncia il primo, deve condannare il secondo.

Una digressione necessaria: continua ad essere ampiamente diffuso l’errore di confondere il sionismo con l’ebraismo. Nel tempo la differenza è stata dimostrata da vari intellettuali ebrei come Albert Einstein ed Erich Fromm. E oggi vi è un numero sempre maggiore di cittadini coscienti, all’interno di Israele, che apertamente si oppongono al sionismo e alle sue pratiche criminali e terroriste.

Bisogna dirlo a chiare lettere: il sionismo, come visione del mondo, è assolutamente razzista. Prova inconfutabile è fornita da queste parole, di cinismo terrificante, scritte da Golda Meir: Come dovremmo restituire i territori occupati? Non vi è nessuno a cui restituirli. Non esiste quella cosa chiamata popolo palestinese. Non è come le persone pensano, non esiste un popolo chiamato “palestinese”, che si considera “palestinese”; non è che siamo giunti in questa terra, li abbiamo espulsi e ci siamo appropriati del loro paese. Loro semplicemente non sono mai esistiti.

È importante ricordare che: a partire dalla fine del XIX secolo, il sionismo ha iniziato e incitato il ritorno del popolo ebraico in Palestina e la creazione di uno Stato nazionale proprio. Ciò fu benefico e funzionale per i colonialisti francesi e britannici, come lo sarebbe stato per l’imperialismo yankee. L’Occidente ha sempre incentivato e appoggiato l’occupazione sionista della Palestina con mezzi miliari.

Leggiamo e rileggiamo il documento storicamente conosciuto come la Dichiarazione di  Balfour del 1917: il governo britannico si assunse la responsabilità legale di promette una casa in Palestina per il popolo ebraico, ignorando deliberatamente la presenza e i desideri dei suoi abitanti. Bisogna inoltre aggiungere che cristiani e musulmani vivevano in pace da secoli in Terra Santa prima che il sionismo cominciasse a reclamarla come sua proprietà totale ed esclusiva.

Non dimentichiamo che, all’inizio della seconda decade del XX secolo, il sionismo cominciò a sviluppare i suoi piani di espansione, approfittando dell’occupazione coloniale britannica in Palestina. Prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, la tragedia del popolo palestinese si avvicinava, consumandosi con l’espulsione dal suo stesso territorio e, allo stesso tempo, dalla storia. Nel 1947, l’illegale risoluzione 181 dell’ONU disponeva la divisione della Palestina in uno Stato ebraico, uno Stato arabo e un’area sotto il controllo internazionale (Gerusalemme e Betlemme). Vergognosamente, il 56% del territorio venne concesso al sionismo per stabilirvi il suo Stato. In verità, questa risoluzione violò il diritto internazionale e ignorò la volontà della maggioranza degli arabi: il diritto all’autodeterminazione dei popoli non rappresentò altro se non lettere morte.

Dal 1948 a oggi, lo Stato sionista applica continuamente la sua strategia criminale contro il popolo palestinese con l’appoggio costante del suo alleato incondizionato, gli Stati Uniti dell’America del Nord. Questa lealtà incondizionata è osservata per il fatto che Israele dirige e definisce la politica internazionale degli USA per il Medio Oriente. È per questo motivo che il grande palestinese Edward Said ha affermato che qualsiasi accordo di pace costruito sotto l’alleanza con gli Stati Uniti sarebbe solo un’alleanza volta a confermare il potere sionista, piuttosto che affrontarlo.

Quindi, al contrario di ciò che Israele e gli Stati Uniti stanno tentando di fare, ossia portare il mondo a dare credito alle informazioni trasmesse dai media transnazionali, ciò che accadde e continua ad accadere in Palestina, usando le parole di Said, non è un conflitto religioso, ma politico, di impronta coloniale e imperialista; questo non è un conflitto millenario, ma contemporaneo; non è un conflitto nato in Medio Oriente, ma in Europa.

Ciò che è stato e continua a essere il punto centrale di questo conflitto è uno: il dibattito e le discussioni continuano a dare rilevanza alla sicurezza di Israele, ignorando la Palestina. Ciò è dimostrato da vicende recenti; un buon esempio è il più recente episodio genocida innescato da Israele durante l’operazione “Piombo Fuso” a Gaza.

La sicurezza della Palestina non può essere ridotta al semplice riconoscimento di un’autonomia limitata e all’autocontrollo poliziesco nelle sue “enclavi” lungo il margine occidentale della Giordania e nella Striscia di Gaza, ignorando non solo la creazione dello Stato Palestinese con tutte le sue frontiere prima del 1967 e con Gerusalemme come sua capitale, i diritti dei cittadini e la sua l’autodeterminazione come popolo, ma ignorando anche il dovuto risarcimento e il conseguente rientro in patria del 50% del popolo palestinese che è sparpagliato per tutto il mondo, secondo quanto stabilito dalla risoluzione 194.

È inaccettabile che un paese (Israele) che deve la sua esistenza a una risoluzione dell’Assemblea Generale possa essere tanto disdegnoso delle risoluzioni che emana l’ONU, come disse Miguel D’Escoto quando chiedeva la fine del massacro contro il popolo di Gaza, tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009.

Sig. Segretario Generale e illustri rappresentanti dei popoli del mondo:

è impossibile ignorare la crisi delle Nazioni Unite. Nel 2005, prima di questa Assemblea Generale, noi ritenemmo che il modello delle Nazioni Unite fosse morto. Il fatto che il dibattito sulla questione palestinese continui ad essere rinviato e apertamente sabotato, ce lo conferma nuovamente.

Alcuni giorni fa Washington ha affermato che porrà veto su ciò che sarà una risoluzione della maggioranza dell’Assemblea Generale: il riconoscimento della Palestina come membro pieno delle Nazioni Unite. Nella Dichiarazione del Riconoscimento dello Stato Palestinese, il Venezuela, insieme alle Nazioni sorelle che compongono l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), ha denunciato che tale aspirazione legittima può essere bloccata per questa via. Come sappiamo, l’impero, in questo caso e in altri, tenta di imporre le sue leggi nello scenario mondiale: è la duplice morale yankee, che continua a violare il diritto internazionale in Libia e che ora permette che Israele possa fare tutto ciò che vuole, diventando il principale complice del genocidio palestinese che si realizza tramite le mani della barbarie sionista. Edward Said ha toccato il punto nevralgico della situazione quando scrisse che: gli interessi di Israele negli Stati Uniti hanno realizzato nel Medio Oriente una politica israelocentrica.

Vorrei terminare con la voce di Mahmoud Darwish nel suo memorabile poema “Su questa terra”:

Su questa terra, noi possediamo qualcosa

per la quale vale la pena vivere:

Su questa terra vi è la signora delle terre,

Madre del principio

Madre della fine

Si chiamava Palestina

Il suo nome rimarrà Palestina

Lei è la mia signora

Io ho diritto, ché lei è la mia dama,

Io ho diritto alla vita

Lei continuerà ad essere chiamata Palestina: oh Palestina, vai, verso la vita e la vittoria! Lunga vita alla Palestina, libera, sovrana e indipendente!

Hugo Chávez Frías

Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela

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Sassari, 6 febbraio – Giornata informativa sull’occupazione militare in Sardegna

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Calendario delle esercitazioni militari in Sardegna I° semestre 2016

Anno nuovo abitudini vecchie, dal 7 gennaio i militari hanno ripreso a sparare nei vari poligoni della sardegna. In allegato troverete un’elaborazione sintetica delle 53 pagine di documento sulle esercitazioni in sardegna di questo primo semestre del 2016.

Differentemente dagli scorsi anni non sono più nominate le brigate che si esercitano ma solo la tipologia a cui appartengono (quindi se meccanizzata, corazzata ecc), è quindi un po’ più difficile capire chi e quando spara.

Come si può notare anche con uno sguardo veloce, la guerra in sardegna non ha un attimo di tregua, infatti eccezion fatta (e non è comunque detto) per le festività non c’è un giorno di pausa da gennaio a giugno.

La brigata Sassari come al solito è la più presente, specialmente a S’Ena Ruggia e a Teulada, ma probabilmente non mancheranno anche la Garibaldi, l’Aosta e l’Ariete. Teniamoci aggiornati e condividiamo le informazioni di cui ognuno entra in possesso riguardanti la presenza, le esercitazioni e gli spostamenti dei militari in sardegna e non solo.

Scarica:

Calendario Primo Semestre 2016

Calendario Primo Semestre 2016 (schema esercitazioni)

Calendario Primo Semestre 2016 (glossario)

Tabella primo semestre 2016 Teulada

Tabella primo semestre 2016 Quirra a mare

Tabella primo semestre 2016 Quirra a monte

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Incontro antimilitarista a Pinerolo, città degli Alpini

Pinerolo (TO) Domenica 24 gennaio 2016
ore 15.30 Sala dei Cavalieri, Viale Giolitti 7/9

Viviamo in un Occidente capace, per i propri interessi politici ed economici, di sganciare tonnellate di bombe e di uccidere milioni di persone, un Occidente che tiene gli occhi ben chiusi di fronte alle proprie responsabilità, al proprio silenzio.

È la guerra, guerre pensate a tavolino per accaparrarsi ogni risorsa, per eliminare chi non è più così collaborativo, guerre per ‘esportare democrazia’, per sopprimere i ‘nemici’, guerre per riconquistare consensi. Quel consenso politico e quella docilità sociale ottenuti plasmando individui svuotati di una capacità critica che vada al di là della scelta di un nuovo modello di smartphone; accecati da una propaganda così articolata da far ripetere a pappagallo Je suis Paris, incapaci di gettare uno sguardo oltre al nostro mondo privilegiato, volto al consumo, alla paura del diverso, al “terrore che ci rubino l’argenteria”, imboccati da un potere che, nel suo insieme, è bastone e carota, è autorità che concede. Sempre meno, ma si sa “son tempi duri…”. Troppo impegnati nella guerra tra poveri, di tutti contro tutti, sfuggenti all’individuazione di chi sono i nemici, quelli che ci avvelenano l’esistenza e che ci vogliono inerti di fronte alle loro scorrerie, fatte di leggi, di privazioni, di furberie. E di massacri.

Anche se gli echi della guerra appaiono pur sempre molto lontani, in realtà è proprio accanto a noi che si prepara e si rende possibile: fabbriche di armamenti, aziende e università che sviluppano nuove tecnologie per l’industria bellica, basi NATO, caserme, esercitazioni militari…

La città di Pinerolo è una città militare, ospita infatti il 3° reggimento alpini, uno dei reparti della Brigata Alpina Taurinense. Un corpo, quello degli alpini, che riveste un ruolo importante nella struttura bellica della penisola italiana; divenuto famoso nel ‘primo macello mondiale’, passò poi durante il ventennio fascista allo sterminio imperialista nella terribile campagna d’ Africa, e durante la seconda guerra mondiale fu utilizzato nella campagna di Grecia.

Dal dopoguerra sarà uno stillicidio di interventi nei conflitti che l’Occidente muoverà in varie parti del mondo, con particolare attenzione alle zone dove le risorse sono più consistenti, in primis il Medio Oriente con il suo carico di petrolio e di gas. Senza dimenticare i vicini Balcani, luoghi di massacri indicibili dove gli armamenti utilizzati, ancora oggi mietono vittime.

Proprio la Brigata Alpina Taurinense è intervenuta militarmente in Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Afghanistan, Iraq e Mozambico, parte attiva in quelle missioni ‘di pace’ che sappiamo essere guerre di conquista con tutto ciò che la guerra comporta: bombardamenti, rappresaglie sui civili, uso di armi chimiche, distruzione, torture, stupri.

Da qualche anno gli alpini sono utilizzati anche nelle strade di molte città per compiti di controllo del territorio assieme a Polizia e Carabinieri e per reprimere lotte in difesa del territorio, come in Campania quando la popolazione si oppose alla costruzione di discariche o tutt’oggi in Valsusa nell’opposizione al treno ad alta velocità.

Un quadro, quindi, che non deve lasciare indifferenti.

Si aggiungono a tutto questo le esercitazioni che i militari fanno nei territori nei quali viviamo, nella zona del pinerolese e in Val Chisone dove gli alpini si preparano per l’intervento in scenari di guerra in montagna.

Da sottolineare poi che proprio in Val Chisone da lunedì 25 a venerdì 29 gennaio si terranno i Ca.STA (Campionati Sciistici delle Truppe Alpine), una vera e propria esercitazione internazionale, in parte camuffata da evento sportivo, in parte candidamente presentata così: “In effetti, il termine ‘Campionato’ tradisce il significato dei Ca.STA in quanto i valori sportivi interessano solo marginalmente. Scopo primario è invece la verifica del livello addestrativo raggiunto dai reparti nel corso dell’attività invernale, con particolare riguardo alla capacità di sopravvivenza, alla mobilità ed efficienza operativa in ambiente innevato. […] l’agonismo è la molla fondamentale per formare il combattente individuale e renderlo idoneo ad operare nelle più avverse condizioni ambientali” (dal sito internet dei Ca.STA).

Parole che non hanno bisogno di ulteriori commenti, non un evento sportivo ma una vera e propria preparazione alla guerra.

Per fare il punto sugli attuali contesti di guerra interna ed esterna e su alcune esperienze di lotta, invitiamo a partecipare ad un incontro pubblico che si terrà a Pinerolo (TO) domenica 24 gennaio 2016, alle ore 15.30 (Sala dei Cavalieri, Viale Giolitti 7/9).

Interventi:

* La disintegrazione dell’Iraq e della Siria, il dilagare di scontri settari, guerre civili, pulizie etniche, la minaccia dello Stato islamico… Lo stato di guerra permanente in cui, ogni giorno di più, stiamo precipitando è la diretta conseguenza delle politiche coloniali che le potenze occidentali hanno condotto e conducono in giro per il mondo, nel Medio Oriente in particolare, a cura di Daniele Pepino;

* Intervento di alcuni compagni francesi circa lo Stato d’emergenza decretato in Francia all’indomani dei fatti di Parigi (intervento da confermare);

* Presentazione di un opuscolo sulla presenza militare nelle valli del pinerolese, a cura di Alpi Libere;

* Panoramica delle servitù militari in Sardegna e aggiornamenti sulla lotta antimilitarista sarda, a cura della Rete No basi, né qui né altrove;

* Resoconto delle lotte in Trentino contro il progetto di costruzione di una base militare e contro la presenza all’Università di Trento di laboratori di ricerca finanziati dallo stato di Israele, a cura dei redattori del blog rompere le righe.

Alpi Libere

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